Il Principe

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RONCA_MAN17
view post Posted on 11/5/2010, 13:44




Il Principe (titolo originale in lingua latina: De Principatibus, lett. Riguardo i Principati) è un trattato di dottrina politica scritto da Niccolò Machiavelli nel 1513, nel quale espone le caratteristiche dei principati e dei metodi per matenerli e conquistarli. Si tratta senza dubbio della sua opera più rinomata, quella dalle cui massime (spesso superficialmente interpretate) sono nati il sostantivo "machiavellismo" e l'aggettivo "machiavellico".
L'opera non è ascrivibile ad alcun genere letterario particolare, in quanto non ha le caratteristiche di un vero e proprio trattato; se ne è ipotizzata la natura di libriccino (o libricino) a carattere divulgativo.
Il Principe si compone di una dedica e ventisei capitoli di varia lunghezza; l'ultimo capitolo consiste nell'appello ai de' Medici ad accettare le tesi espresse nel testo.

Sommario

Per raggiungere il fine di conservare e potenziare lo Stato, Machiavelli giustifica qualsiasi azione del Principe, anche se in contrasto con le leggi della morale («si habbi nelle cose a vedere il fine e non il mezzo», scrive nei Ghiribizzi scripti in Raugia da cui si ha la celebre massima erroneamente attribuita a Machiavelli che "il fine giustifica i mezzi"); tale comportamento è tuttavia valido solo per conseguire la salvezza dello Stato, la quale, se (e solo se) è necessario, deve venire prima anche delle personali convinzioni etiche del principe, poiché egli non è il padrone, bensì il servitore dello Stato.

Sommario dei capitoli

ad Magnificum Laurentium Medicem (Niccolò Machiavelli al magnifico Lorenzo II de' Medici)
Dedica
I - Quot sint genera principatuum et quibus modis acquirantur (I diversi tipi di principati e i modi per conquistarli)
Distinzione fra repubbliche e principati; fra principati ereditari e nuovi (come Milano per Francesco Sforza) e quelli aggiunti a uno stato ereditario (come Napoli per il re di Spagna).
II - De principatibus hereditariis (I principati ereditari)
Il principe può mantenerli con facilità purché non abbandoni la tradizione di governo degli antenati. (Esempio: i duchi di Ferrara).
III - De principatibus mixtis (I principati misti)
Difficoltà del principato nuovo (gli uomini cambiano volentieri signore credendo di migliorare: l'esperienza li delude. Esempio Luigi XII, che facilmente acquistò e subito perse il ducato di Milano). Probabilità maggiori di successo alla seconda conquista.
Osservazioni sui principati misti, prossimi e uguali per lingua e costumi allo stato conquistatore (facili a mantenersi purché si spenga il sangue dell'antico signore e non se ne alterino le istituzioni).
Osservazioni sui principati lontani e disformi di lingua e costumi (a mantenerli occorre fortuna e industria: è necessario che il principe vi risieda; che vi mandi colonie; che si faccia amici i meno potenti senza accrescere troppo il loro potere). Esempi dei Romani in Grecia. Errori di Luigi XII nella conquista del ducato di Milano (spente le signorie minori; accresciuta la potenza del Papa; introdotti in Italia gli spagnoli; non venuto a risiedervi; non postevi colonie).
IV - Cur Darii regnum quod Alexander occupaverat a successoribus suis post Alexandri mortem non defecit (Per quale ragione il regno di Dario, conquistato da Alessandro, non si ribellò dopo la morte di Alessandro)
Distinzione fra regni assoluti (come l'impero ottomano) e regni a struttura federale (come la Francia). Difficili i primi da conquistare (perché assuefatti alla servitù), ma facili da conservare. Facili i secondi da conquistare (per la rivalità e l'ambizione dei baroni), ma difficili da mantenere. Il regno di Dario era del primo tipo, perciò non si ribellò ai suoi successori.
V - Quomodo administrandae sunt civitates vel principipatus qui antequam occuparentur suis legibus vivebant (In qual modo si debbano governare le città e i principati i quali, prima di essere conquistati, vivevano secondo le loro leggi)
I metodi proposti sono tre: 1) Distruggerli (come fecero i Romani con Cartagine, Capua e Numanzia); 2) Andarvi a risiedere; 3) Lasciarvi inalterate istituzioni e leggi, affidando il governo a una ristretta oligarchia, come fecero gli Spartani ad Atene (ma è sistema precario).
VI - De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur (I principati nuovi conquistati con le proprie armi e capacità)
Il principe prudente deve attenersi all'esempio degli uomini grandi, perché le vicende umane si ripetono (imitazione «storica»). Al principato si arriva o per fortuna o per virtù: in quest'ultimo caso la conquista è più stabile, come mostrano gli esempi di Mosè, Ciro, Romolo, Teseo e Gerone siracusano.
È indispensabile però il possesso di una propria forza militare: i profeti armati vincono, quelli disarmati periscono. Esempio clamoroso, Gerolamo Savonarola.
VII - De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur (I principati nuovi conquistati con le armi e la fortuna altrui)
Il potere conquistato con un colpo di fortuna è precario, perché sempre soggetto all'arbitrio altrui o alla volubilità della sorte. Virtù di Francesco Sforza. Virtù e fortuna di Cesare Borgia; sua conquista della Romagna; sua spietata risolutezza nello spegnere le ribellioni (massacro di Sinigaglia). Suo regime d'ordine (Ramiro de Lorqua); suoi piani per il futuro; morte del padre e sua rovina. Valutazione conclusiva della sua «virtuosa» condotta politica.
VIII - De his qui per scelera ad principatum pervenere (La conquista del principato per mezzo del delitto)
Al principato si può giungere anche con il delitto. Esempi: Agatocle siracusano e Oliverotto da Fermo. Entrambi conquistarono il potere con un colpo di mano armato, massacrando i maggiorenti della città. Il primo fu in seguito principe valoroso e prudente, il secondo perì vittima di un agguato a opera di Cesare Borgia. Riflessioni sull'efficacia politica della crudeltà: essa è bene usata se risponde a una reale necessità di sicurezza e non si protrae nel tempo, male usata se praticata come sistema.
IX - De principatu civili (Il principato civile)
Al principato si può salire con il favore del popolo o dei grandi (nobili). Nel primo caso bisogna mantenersi il popolo amico. Nel secondo bisogna guadagnarsene il favore, per averlo alleato contro le insidie dei grandi, che sono infidi. Esempio: Nabide di Sparta. Confutazione del proverbio «chi fida sul popolo fida sul fango». Per fare in modo che il popolo abbia sempre bisogno di lui il principe dovrà però abolire i magistrati.
X - Quomodo omnium principatuum vires perpendi debeant (Come valutare la forza di un principato)
Distinzione fra i principati che possono contare su forze militari proprie e quelli che non possono. I secondi debbono puntare su una tattica difensiva, provvedendo a fortificare la loro terra così da scoraggiare le mire nemiche. Esempio: le città dell'Alemannia.
XI - De principatibus ecclesiasticis (I principati ecclesiastici)
La difficoltà per il principe consiste unicamente nell'acquistarli: a mantenerli non si richiede infatti né virtù, né fortuna, giacché essi si fondano sulla forza della tradizione religiosa: «Coloro soli hanno Stato, e non li difendono; sudditi, e non li governano...». Considerazioni sulla politica di Alessandro VI, Giulio II e Leone X.
XII - Quo sint genera militiae et de mercenariis militibus (I vari tipi di eserciti)
Esame dei vari sistemi di difesa e di offesa. Fondamento di uno Stato sono le buone leggi e le buone armi. Le armi (cioè le forze militari) possono essere mercenarie o proprie, ausiliare o miste. Le mercenarie e ausiliare sono inutili e pericolose, perché infedeli e pavide: prova ne è stato, in Italia, il loro dissolversi al primo assalto dello straniero (Carlo VIII). I capitani, se sono valenti, aspirano alla grandezza propria, in caso contrario, procurano comunque la rovina. È necessario che il principe in persona comandi il proprio esercito: o, nella repubblica, uno dei cittadini. Esempi di eserciti nazionali: Romani, Spartani, Svizzeri. Esempi di Stati con eserciti mercenari: Cartagine, Tebe, il ducato milanese degli Sforza. Eccezioni a quanto detto: Firenze e Venezia (rettesi con armi mercenarie). Origine storica delle compagnie di ventura (Alberigo da Conio, Braccio da Montone, gli Sforza) e loro condotta.
XIII - De militibus, mixtis et propriis (Gli eserciti ausiliari, i misti e i propri)
Insidiosità delle forze ausiliare (fornite da potenze straniere): se perdono, si è disfatti; se vincono, si è in loro potere. Esempi: Giulio II e le truppe spagnole. Firenze e le truppe francesi; il re di Costantinopoli e i Turchi. In esse è maggior pericolo che nelle mercenarie, perché sono meglio organizzate. Come e perché vi abbiano rinunciato Cesare Borgia, Gerone siracusano, Davide. Con quali cattivi esiti vi abbiano fatto ricorso Luigi XI di Francia e gli imperatori romani. Ribadito il valore degli eserciti propri.
XIV - Quod principem deceat circa militiam (Il rapporto tra il principe e gli eserciti)
Il quattordicesimo capitolo verte sul rapporto tra il principe e le armi in generale: l'unico compito che un principe deve assolutamente svolgere per tenersi lo stato che sta comandando è dedicarsi alle armi anche in tempo di pace, come fece Francesco Sforza diventando, da semplice cittadino, duca di Milano. Per tenersi in allenamento deve praticare spesso la caccia e imparare a conoscere la natura dei luoghi dove vive. Un buon principe deve saper imitare quello che in passato fecero i principi migliori, come Alessandro Magno con Achille e Scipione con Ciro. L'autore porta come esempio di principe perfetto Filipomene, che dovunque andasse si interrogava sul modo, in quella situazione, per ritirarsi, per rincorrere il nemico ritirato e per attaccare.
XV - De his rebus quibus homines et praesertim principes laudantur aut vituperantur (Le qualità che rendono gli uomini e soprattutto i principi degni di lode o di biasimo)
Ha inizio la riflessione sulla concreta prassi politica. Il principe che voglia mantenere deve essere buono o non buono a seconda della necessità. È perciò da respingere il catalogo delle qualità e dei vizi da perseguire o da fuggire, come compariva nella precedente trattazione politica.Sul terreno della prassi politica ciò che talora è qualità, altre volte può essere vizio. Il vizio adoperato per difendere lo stato risponde ad un'esigenza collettiva. Le virtù morali usate a sproposito risultano causa di ruina.
XVI - De liberalitate et parsimonia (La mugnificenza e la parsimonia)
Nel sedicesimo capitolo si parla della munificenza e della parsimonia. La munificenza è considerata in maniera negativa: all'inizio ti fa avere una buona fama, dopo, finiti i soldi, ti costringe a imporre tasse e quindi ad essere odiato dai sudditi e poco stimato dagli altri per la povertà. L'unico momento in cui bisogna essere munifici è quando ci si impadronisce di beni altrui, come fecero Ciro e Cesare. La parsimonia invece, anche se all'inizio non ti farà godere di buona fama, dopo, vedendo che si è capaci di difendersi e di conquistare anche senza gravare sulla popolazione, ti farà considerare uomo generoso. Vengono citati gli esempi di Papa Giulio II che usò la munificenza solo per salire al potere, dedicandosi dopo alla guerra, Luigi XII che riuscì, per la sua grande parsimonia, a fare tante guerre senza tasse extra. Insomma uno dei vizi più importanti che aiutano a regnare è la taccagneria.
XVII - De crudelitate et pietate et an sit melius amari quam timeri vel et contra (La crudeltà e la clemenza, se sia meglio esser temuti piuttosto che amati o amati piuttosto che temuti)
Il diciassettesimo capitolo è incentrato sulla domanda: meglio essere amati piuttosto che temuti o temuti piuttosto che amati? Per il Fiorentino un principe, per tenere i suoi sudditi uniti e fedeli, può essere ritenuto crudele e deve essere temuto al punto da non essere né odiato né amato. Comunque la crudeltà è indispensabile in guerra.
XVIII - Quomodo fides a principibus sit servanda (La lealtà del principe)
Machiavelli con una figura biologica disegna due diversi modi di combattere:quello dell'uomo e quello della bestia. Il primo ha come risultato le leggi, il secondo la violenza. Quando le leggi non sono sufficienti si deve ricorrere alla violenza.Poiché il principe deve per necessità impiegare anche la parte bestiale, Machiaveli illustra in due modi in cui essa si manifesta:ricorre alle figure della volpe e del leone, immagini dell'astuzia accorta e simulazione e dell'impeto violento, con i quali è possibile evitare i tranelli e vincere la violenza degli avversari. Per il principe è più utile simulare pietà, fedeltà, umanità che osservarle veramente. Le doti etiche sono pure illusioni nella lotta politica.Il dovere del principe è vincere e mantenere lo stato. Il volgo guarderà solo le apparenze, mentre pochi che non giudicheranno dalle apparenze non riusciranno a imporsi perché la maggioranza è dalla parte del principe.
XIX - De contemptu et odio fugiendo (Come evitare il disprezzo e l'odio)
Il diciannovesimo capitolo è come un riassunto di tutte le caratteristiche che un principe deve avere per farsi ben volere: non deve appropriarsi delle cose del popolo, non deve essere superficiale, effeminato e pauroso, ma deve apparire coraggioso, grande e con molta forza di carattere. Qualora non offrisse questa immagine di sé, deve avere due paure: i sudditi e le potenze straniere. Dalle congiure l'unico aiuto può venire dal popolo, in quanto non sempre i congiurati rispecchiano il volere di tutti, invece per sconfiggere un nemico devi possedere un buon esercito. Come al solito il Machiavelli fa molti esempi storici tra i quali uno riguardante una congiura fallita: Messer Annibale Bentivoglio, principe di Bologna fu ucciso dai Canneschi. Subito dopo l'omicidio, il popolo di Bologna uccise tutta la famiglia dei Canneschi e mise a capo di Bologna un lontano parente del Bentivoglio, figlio di fabbro. In conclusione un principe deve stare attento a non inasprire i nobili e a soddisfare il popolo in modo da non temere le congiure.
XX - An arces et multa alia quae cotidie a principibus fiunt utilia an inutilia sint (Utilità o inutilità delle fortezze e di molte altre cose fatte ogni giorno dai principi)
In questo capitolo si parla di quanto possa essere utile disarmare i sudditi o alimentare le fazioni popolari o costruire fortezze. Diciamo che per quanto riguarda il disarmo dei sudditi, si può rivelare positivo quando si è di fronte a un principe nuovo con un nuovo principato, in quanto vengono gratificati quelli che armi, mentre se agisci al contrario vengono offesi, invece quando un principe conquista un provincia è necessario disarmarla, escludendo naturalmente quelli che sono stati dalla tua parte, ma col tempo indebolendo anche quest'ultimi. Passando alle fazioni, per l'autore, le divisioni interne non sono state mai qualcosa di positivo, anzi rendono le città più fragili di fronte al nemico. Continuando con le fortezze fin dai tempi antichi si è avuta l'abitudine di edificare queste fortificazioni, ma gente più recente come Niccolò Vitelli e Guidobaldo da Montefeltro le smantellò. Perché questo? Il Machiavelli dice che chi ha più paura del popolo che dei nemici costruisce fortezze, chi il contrario non le costruisce e ribadisce dicendo che la fortezza più sicura è il non essere odiati dal popolo.
XXI - Quod principem deceat ut egregius habeatur (Come un principe può farsi stimare)
Il capitolo ventunesimo parla ancora di come un principe possa dare una buona immagine di sé, un'immagine di uomo grande e di ingegno eccellente. In politica interna deve essere deciso, deve premiare o castigare in maniera esemplare. In politica estera deve farsi ammirare e deve stupire i sudditi con grandi imprese come Ferdinando d'Aragona, ma soprattutto deve sempre schierarsi a favore di qualcuno e mai restar neutrale in modo che il tuo alleato si senta legato da un patto di amicizia e di riconoscenza e non ti abbandoni mai. Per dare una buona immagine, il principe deve anche istituire delle feste e partecipare ai raduni di quartiere sempre però con grande maestà e dignità. Molto importante è anche la scelta dei ministri. Si nota da questa selezione l'intelligenza di un signore; circondandosi di uomini stolti, il giudizio su di lui non potrà essere mai buono. Questi ministri devono essere così devoti al loro signore da pensare prima a lui che a loro stessi e se un principe ha la fortuna di trovarne uno così se lo deve mantenere con doni e elogi.
XXII - De his quos a secretis principes habent (I ministri del principe)
Riguardo a come il principe della scegliere i collaboratori e come lavorarci.
XXIII - Quomodo adulatores sint fugiendi (Come evitare gli adulatori)
Il ventitreesimo capitolo parla degli adulatori. Un principe deve fidarsi solo di poche persone sincere e veritiere che avrà scelto all'interno del suo Stato. Solo queste dovrà ascoltare, e comunque l'ultima decisione spetterà sempre a lui.
XXIV - Cur Italiae principes regnum amiserunt (Perché i principi d'Italia persero il regno)
Nel ventiquattresimo capitolo vi è come un rimprovero verso i principi italiani che persero il loro Stato, come Federico d'Aragona, il re di Napoli e Ludovico il Moro, duca di Milano. Le motivazioni sono varie, ma comuni: non possedevano un esercito proprio, erano detestati dal popolo o dai nobili. Colpa loro quindi, non della fortuna.
XXV - Quantum fortuna in rebus humanis possit et quomodo illi sit occurrendum (Il potere della fortuna nelle cose umane e il modo di resistere a esso)
La fortuna è arbitra di metà delle azioni umane mentre l'altra metà resta nelle mani degli uomini;la fortuna è paragonata ad un fiume rovinoso che allaga le pianure e distrugge gli alberi e le case: gli uomini previdenti devono disporre per tempo gli argini.Tuttavia si possono vedere principi salire al potere o rovinare senza che essi abbiano modificato il proprio comportamento, Machiavelli ricorre alla mutevolezza continua delle circostanze storiche e della fortuna, non ruina colui che riesce a mettersi in sintonia con la qualità dei tempi.
XXVI - Exhortatio ad capessandam italiam in libertatemque a barbaris vindicandam (Esortazione a prendere l'Italia e a liberarla dalle mani dei barbari)
L'ultimo capitolo è un'esortazione rivolta al principe di Casa dei Medici affinché riunisca l'Italia sanando le ferite, ponendo fine ai saccheggi e alle imposizioni fiscali che continuano a lacerarla. Contando che gli eserciti svizzeri e spagnoli non sono così terribili come si dice, egli potrebbe creare un terzo esercito che li vinca. Il Machiavelli conclude rassicurando che un nuovo regnante sarebbe accolto da tutti a braccia aperte. Gli ultimi versi sono tratti da "Italia mia" del Petrarca. Appare come un ulteriore incitamento rivolto al nuovo principe proprio dal Petrarca anche se scritto circa duecento anni prima: La virtù affronterà la furia degli stranieri; il combattimento sarà corto perché l'antico valore che fu del popolo romano nei cuori italici non è ancora morto.

Le caratteristiche del principe ideale

Le qualità che, secondo Machiavelli, deve possedere un "principe" ideale (ma non idealizzato), sono tuttora citate nei testi sulla leadership:

-la disponibilità ad imitare il comportamento di grandi uomini a lui contemporanei o del passato, es. quelli dell'Antica Roma;
-la capacità di mostrare la necessità di un governo per il benessere del popolo, es. illustrando le conseguenze di un'oclocrazia;
-il comando sull'arte della guerra - per la sopravvivenza dello stato;
-la capacità di comprendere che la forza e la violenza possono essere essenziali per mantenere stabilità e potere;
-la prudenza;
-la saggezza di cercare consigli soltanto quando è necessario;
-la capacità di essere "simulatore e gran dissimulatore";
-il totale controllo della fortuna attraverso la virtù (la metafora utilizzata accosta la fortuna ad un fiume, che deve essere contenuto dagli argini della virtù);
-la capacità di essere leone, volpe e centauro (leone forza - volpe astuzia - centauro come capacità di usare la forza come gli animali e la ragione come l'uomo)


La natura umana e il rapporto con gli antichi


Secondo Machiavelli la natura umana è malvagia e presenta alcuni fattori costanti, quali le passioni, la virtù e la fortuna. Il frequente ricorso ad exempla virtutis tratti dalla storia antica e dalla sua esperienza nella politica moderna dimostrano che nella sua concezione della storia non vi è alcuna netta frattura tra il mondo degli antichi e quello dei moderni; Machiavelli trae così dalla lezione della storia delle leggi generali, le quali non vanno però intese come norme infallibili, valide in ogni contesto e situazione, ma come semplici tendenze orientanti l'azione del Principe che devono sempre confrontarsi con l'attrito della realtà. Non vi è alcuna esperienza tràdita dal passato che non possa essere smentita da una nuova esperienza presente; tale mancanza di scientificità spiega la mancata sottomissione di Machiavelli alla auctoritas degli antichi: reverenza ma non ossequio nei suoi confronti; gli esempi storici sono utilizzati per un'argomentazione non scientifica ma retorica.

Guerra e pace

La pace è fondata sulla guerra esattamente come l'amicizia è fondata sull'uguaglianza, quindi in ambito internazionale l'unica uguaglianza possibile è l'uguale potenza bellica degli Stati.
La forza della sopravvivenza di qualsiasi Stato (democratico, repubblicano o aristocratico) è legata alla forza dell'esercizio del suo potere, e quindi deve detenere il monopolio legittimo della violenza, per assicurare sicurezza interna e per prevenire una 'potenziale' guerra esterna (in riferimento ad una delle lettere proposte al Consiglio Maggiore di Firenze (1503), con la speranza di Machiavelli di convincere il Senato fiorentino l'introduzione di una nuova imposta per rafforzare l'esercito, necessario per la sopravvivenza della Repubblica Fiorentina).

Il rapporto tra Virtù e Fortuna e la loro nuova concezione

Il termine virtù in Machiavelli cambia significato: la virtù è l'insieme di competenze che servono al principe per relazionarsi con la fortuna, cioè gli eventi esterni. La virtù è quindi un insieme di energia e intelligenza, il principe deve essere intelligente ma anche efficace ed energico.
La virtù del singolo e l'occasione, cioè la fortuna, si implicano a vicenda: le doti del politico restano puramente potenziali se egli non trova l'occasione adatta per affermarle, e viceversa l'occasione resta pura potenzialità se un politico virtuoso non sa approfittarne. L'occasione è spesso rappresentata da una condizione negativa, che serve di stimolo ad una virtù eccezionale. Machiavelli nei capitoli VI e XXVI scrive che occorreva che gli ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell'Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perché potesse rifulgere la "virtù" dei grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro.
La virtù umana si può poi imporre alla fortuna attraverso la capacità di previsione, il calcolo accorto. Nei momenti di calma l'abile politico deve prevedere i futuri rovesci e predisporre i necessari ripari, come si costruiscono gli argini per contenere i fiumi in piena.

Concezione della religione a servizio della politica e rapporto con la Chiesa

Machiavelli concepisce la religione come "instrumentum regni", cioè un mezzo con il quale tenere salda e unita la popolazione nel nome di un'unica fede. La religione per Machiavelli è quindi una religione di stato che deve essere sfruttata per fini eminentemente politici e speculativi, uno strumento di cui il principe dispone per ottenere il consenso comune del popolo, quest'ultimo ritenuto fondamentale dal segretario fiorentino per l'unità e la lungimiranza del principato stesso.
La religione nell'Antica Roma, che riuniva tutte le divinità del Pantheon romano, è stata fonte di saldezza e unità per la Repubblica e più tardi l'Impero e su questo esempio illustre Machiavelli incentra il suo discorso sulla religione, criticando aspramente la religione cristiana e la Chiesa cattolica che, secondo lui, è stata, per secoli, la causa della mancata unità nazionale italiana.
Per questo è proprio del Machiavelli l'acceso anticlericalismo e avversione nei confronti della Chiesa che traspare senza mezzi termini in più punti del trattato, come la critica nei confronti di Girolamo Savonarola, "il quale ruinò ne' suoi ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non crederli".
 
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Caletin
view post Posted on 11/5/2010, 14:23




un po' mi ha annoiata, ma è da leggere!
 
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Gio15
view post Posted on 28/9/2014, 19:11




Consiglio di cambiare tema o per lo meno cambiare lo sfondo da nero a bianco cosi da rendere la lettura meno faticosa.
 
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2 replies since 11/5/2010, 13:44   2128 views
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