Le crociate: testimoni e testimonianze

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view post Posted on 21/6/2009, 20:43

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LA CHANSON DE ROLAND
La Chanson de Roland è un poema franco-settentrionale anonimo (o comunque di dubbio autore/i) composto fra la seconda metà del XI e l'inizio del XII secolo. È coevo alla crociata, ma di essa non si parla. Suo scenario è la Spagna pirenaica, tra Saragozza e il passo di Roncisvalle: la zona della grande via di pellegrinaggio detta Cammino de Santiago.
Il poema parla del sacrificio di Rolando, nipote di Carlo Magno, caduto combattendo contro i Mori. La base del poema è storica, ma il clima è quello della crociata come l'immaginavano i laici del XII secolo. C'è tutto: l'Oriente favoloso, i saraceni d'aspetto mostruoso o demoniaco, le insegne dipinte, le armi risonanti, le apparizioni divine e angeliche, il sogno delle ricche prede di guerra, la disposizione al martirio, il gusto del sangue e l'amore di Dio degli eserciti.

“Così disse Ronaldo:
- Qui subiremo martirio / e ora so bene che non ci resta molto da vivere. / Ma sarà fellone chi non si vedrà caro. / Colpite, signori, con le spade forbite, / e disputate la vostra morte e la vostra vita, / Sì che la dolce Francia non ne sia disonorata. / Quando Carlo, il mio signore, verrà su questo campo / e vedrà un tale massacro di saraceni / che per uno dei nostri ne vedrà morti quindici, / non potrà non benedirci”.

FULCHERIO DI CHARTRES
All'indomani della conquista del 1099, dopo le sofferenze e i massacri, gli europei si trovarono dinnanzi ad una terra ricca e felice: molti di loro credettero di aver trovato il paradiso. Queste parole di un chierico di Orlèans (1059-1127) che era stato testimone della prima crociata, sembrano quasi un'interpretazione “ante litteram” di quello che sarà poi lo spirito coloniale.

“Ecco che noi, che fummo occidentali, siamo diventati orientali. L'italico o il franco di ieri sono divenuti, una volta trapiantati, galilei o palestinesi; quello di Reims o di Chartres si è mutato in siriaco o in antiocheno. Abbiamo già dimenticato i nostri luoghi d'origine: molti dei nostri li ignorano o non ne hanno addirittura mai sentito parlare. Qui c'è già chi possiede casa e servi con tanta naturalezza come se li avesse ricevuti in eredità dal padre. Chi ha preso per moglie – anziché una compatriota – una siriaca, un'armena, o magari una saracena battezzata. Chi ha qui suocero, genero, discendenti, figli e nipoti, un altro beve il vino dalla sua vigna. Un altro ancora si nutre coi prodotti dei suoi campi. Ci serviamo indifferentemente delle diverse lingue del paese: tanto l'indigeno quanto il colono occidentale sono divenuti poliglotti e la reciproca fiducia avvicina le razze anche più estranee fra loro. Si avvera quanto ha detto la Scrittura: “il leone e il bue mangeranno ad una medesima mangiatoia”. Il colono è ormai divenuto quasi un indigeno, l'immigrato si assimila all'originario abitante. Ogni giorno parenti e amici vengono a raggiungerci dall'Occidente, non esitando ad abbandonare laggiù tutto quel che posseggono. Perché chi laggiù era povero qui, con grazia di Dio, ottiene l'opulenza. Chi non aveva che qualche soldo, qui possiede tesori. Chi non godeva neppure di un dominio, qui è padrone di una città. Perché dunque tornare, dal momento che abbiamo trovato un tale Oriente?”.

UNA BOLLA PONTIFICIA
Alla notizia che il Saladino aveva battuto l'esercito crociato ai corni di Hattin, in Galilea (4 luglio 1187), il pontefice Gregorio VIII promulgò il 29 ottobre da Ferrara la drammatica bolla Auditia Tremandi.
Non era ancora giunta in Europa, a quasi un mese dagli avvenimenti, la notizia che il 2 di quello stesso mese il Saladino era entrato trionfalmente a Gerusalemme.

“Avendo udito la notizia del terribile giudizio divino con cui la mano del Signore si è abbattuta sulla terra di Gerusalemme, noi e i nostri fratelli siamo confusi da tanto orrore e afflitti da tanto grandi dolori da non sapere cosa altro fare se non piangere col salmista: “Dio, i gentili sono entrati nel tuo retaggio, hanno profanato il Tuo sacro Tempio, hanno rovinato Gerusalemme, hanno dato le carni dei Tuoi santi in pasto alle belve della terra e agli uccelli dell'aria”. Poiché il Saladino, approfittando della discordia scoppiata in quella terra a causa della malvagità degli uomini istigata dal demonio, è giunto là con gran quantità di uomini armati. Gli sono andati contro il re, i vescovi, i Templari, gli Ospitalieri, i baroni e i cavalieri con tutto il popolo e la reliquia della croce del Signore. […] Ci fu battaglia, e i nostri furono sbaragliati: perduta la croce del Signore, trucidati i vescovi, catturato il re e quasi tutti passati per le armi o trucidati, salvo pochissimi salvatisi con la fuga. I Templari e gli Ospitalieri furono tutti decapitati sotto gli occhi stessi del re”.

(Dal “Magnum Bullarium Romanum, III, pag.49)

TIBALDO DI NAVARRA
Tibaldo IV conte di Champagne e di brie (1201-1253), dal 1234 proclamato re di Navarra come erede dello zio materno, aveva deciso di onorare i voto di recarsi in Terra Santa. Solo nel 1239 s'imbarcò da Marsiglia per una crociata che durò un anno e che non figura nei consueti “elenchi”. Il pellegrinaggio armato, o – come l'avrebbero chiamato i canonisti - “Passagium Particulare”(i “passagia generalia” erano quelli banditi con bolla pontificia) non sortì risultati particolari, a parte la bella canzone composta da Tibaldo.

“Signori, sappiatelo: / chi ora non andrà in quella terra in cui il Redentore fu ucciso e resuscitò / e chi non prenderà la croce d'oltremare, / è difficile che possa mai andare in paradiso. / Chi ha in sé pietà e rimembranza, / deve prendere vendetta dell'alto Signore / e liberare la sua terra e il suo paese. /
Rimarranno di qua tutti i malvagi / che non amano Dio, né il bene, né l'onore, né il prestigio, / e ognuno di loro dice: - La mia donna, che farà? / Non lascerò per alcuna ragione i miei amici -. / Essi sono caduti in troppo irragionevole preoccupazione, / poiché in verità nessun amico è pari a Colui / che fu posto per noi sulla Santa Croce [...]”.

CATERINA DA SIENA
Caterina Benincasa (1347-1380) non perdeva occasione per incalzare il papa: egli doveva abbandonare Avignone, dove la corte pontificia risedeva dai primi del Trecento, per rientrare a Roma. Da lì sarebbe stato possibile avviare seriamente una riforma della Chiesa e con essa un intimo rinnovamento della società cristiana. La crociata era, nel pensiero di Caterina, intimamente connessa a tale rinnovamento e (per paradossale che ciò possa oggi parere) essa era sentita anzitutto – non solo dalla santa – come opera di pace. La proclamazione del divieto solenne di guerre era stato il primo passo all'atto del bando della crociata. Era sulla base della fratellanza e dell'amore che si andava contro l'infedele. Ma Caterina pensava anche ai musulmani, pregava per la loro conversione e in una visione celebre li vide entrare essi stessi – in una schiera separata – nel costato del Salvatore. Così la santa scriveva a papa Gregorio XI nel 1376:

“Pregando io il nostro dolce Salvatore per voi, siccome mi mandaste dicendo, manifestando egli ch'io dicessi a voi che voi doveste andare, e io scusando, reputandomi indegna d'essere annunziatrice di tale mistero, [...] diceva, per sua bontà, il nostro dolce Salvatore: “Digli sicuramente che questo ottimo segno gli do […] Or ti dico ch'io voglio che egli levi la croce santissima sopra gli infedeli; e levila sopra de' sudditi suoi, ciò sono quelli che si pascono e notricarsi nel giardino della Santa Chiesa, che sono ministratori del sangue mio”.

PIO II
Enea Silvio Piccolomini (1405-1464) si era impegnato per l'organizzazione di una crociata già a partire dall'indomani della conquista turca di Costantinopoli (1453). Eletto papa nel 1458, indisse immediatamente un congresso dei principi cristiani per studiare tempi e modi per un'offensiva decisiva contro i turchi. Ma i governi d'Europa – forse solo con l'eccezione del duca di Borgona – non apparivano disposti a compromettersi in un impresa della quale solo alcuni ne avrebbero tratto vantaggi.
Deluso, amareggiato, il papa redigeva nell'autunno del 1461 uno scritto sconcertante: “L'Epistola al Mahometem”, una lettera al sultano Maometto II, nel quale lo si diceva più grande di tutti i signori cristiani. Se avesse accettato il battesimo, sarebbe stato il nuovo Costantino, e avrebbe dominato sulla città di Costantinopoli.
La lettera naturalmente non fu inviata al Sultano (che del resto poté comunque conoscerla, perché dal 1469 se ne fecero molte edizioni a stampa). In realtà, si trattava di “un'epistola exitatoria”, distinatari della quale erano i principi cristiani, che il papa voleva umiliare e spronare. Così Pio II fingeva di dire al Turco:

“Se vuoi propagare il tuo impero tra i cristiani e avvolgere di gloria il tuo nome, tu non hai bisogno né di oro, né di armi, né di eserciti, né di navi. Una piccola cosa puù renderti il più grande, potente e famoso fra quanti oggi vivono.
Mi domani che cosa sia? Facile da indovinare, né lontana da te, se la vuoi. Dove ci sono uomini, c'è anch'essa: è un po' d'acqua, che ti battezzi e che ti consenta di partecipare ai riti cristiani e di credere nel Vangelo. Fatto ciò non ci sarà più nulla sulla terra principe che ti superi in gloria e ti eguagli in potenza. Noi ti nomineremo imperatore dei greci e d'Oriente, e ciò che ora occupi con la violenza e ingiustamente sarà tuo di diritto.

PIO V
Nel marzo 1572, Pio V (Antonio Michele Ghislieri, 1504-1572) pubblicava questa lettera, che rispetta in pieno le consuetudini giuridiche della disciplina crociata.
La guerra cosiddetta di Cipro, durava già da parecchi mesi e, da cinque, le navi della Santa Lega avevano sbaragliato i vascelli del Sultano nelle acque di Lepanto.

“Noi ammoniamo ed esortiamo ogni individuo ad aiutare la santissima guerra sia di persona sia con appoggio militare […] A coloro che non partono personalmente ma inviando a spese loro e secondo i loro mezzi e rango sociale uomini adatti […] e, allo stesso modo, a coloro che partono personalmente ma a spese d'altri e si sottopongono ai pericoli e alle fatiche della guerra […] noi condediamo pieno e completo perdono, remissione e assoluzione di tutti i peccati di cui abbiano fatto confessione con cuore contrito, e la stessa indulgenza che i pontefici romani nostri successori solevano concedere ai crociati che andavano in soccorso della Terra Santa. Noi accogliamo i beni di coloro che partono per la guerra […] sotto la protezione si San Pietro e nostra”.

VOLTAIRE
un grande storico, Giorgio Falco, ha definito la visione voltairiana del medioevo “la condanna pronunziata dal fanatismo illuministico contro il fanatismo politico e religioso”. In realtà, nella parte dedicata alle crociate dell”Essai des moeurs” di Voltaire (1694-1778), cioè i capitoli XLIX-LVIII (e le stesse cose furono scritte dall'autore nella sua “Histoire Des Croisaders”, anch'essa uscita nel 1753) si danno anche molti giudizi acuti. Il punto è il costante esercizio del pregiudizio:

“Il papa propose loro [ai crociati] la remissione di tutti i loro peccati, ed offrì loro il cielo imponendo loro per penitenza di darsi alla più grande delle loro passioni, il saccheggio […] La religione, l'avidità e l'inquietudine convergevano nell'incoraggiare queste migrazioni”.

JOSEPH MICHAUD
Risposta cattolica, storicista e romantica alla “Histoire Des Croisaders” di Voltaire, quella di Michaud (1767-1839) pubblicata del 1808, è stata – magari arricchita dalle acqueforti di Gustave Doré – per molte generazioni “la Bibbia della crociata”: se ne sente ancora l'influenza nel cinema, da I Crociati di Cecil B. De Mille a L'Armata Brancaleone di Mario Monicelli.
Una grossa ricerca erudita sta dietro a queste pagine: e il monarchico reazionario Michaud, dinnanzi al meraviglioso cristiano dei prodigi di cui parlano i cronisti, non ignora lo scetticismo di Voltaire né inveisce contro la sua incredulità. Al contrario.

“Questi inesplicabili contrasti si fanno spesso notare, nella storia delle crociate. Qualche scrittore ha ritenuto d'individuarvi un pretesto per accusare la religione cristiana. Altri, non meno ciechi e non meno appassionati, hanno voluto giustificare i deplorevoli eccessi del fanatismo. Lo storico imparziale si accontenta di raccontarli, gemendo in silenzio sulle debolezze dell'umana natura”.

WALTER SCOTT
i romanzi di Walter Scott (1771-1832) hanno contribuito moltissimo a costruire l'immagiario romantico del Medioevo e quindi, tramite il cinema statunitense che se ne è massicciamente servito, anche quello odierno.
I romanzi di Scott, come il celebre “Ivanhoe”, hanno spesso la crociata come sfondo. Nel 1825 egli scrisse “Il Talismano”, accuratamente ambientato nei tempi della terza crociata. Nel romanzo – un capolavoro della letteratura storico-esotica – si confrontano i due miti dell'Inghilterra e dell'Europa romantiche: Riccardo Cuor di Leone e il Saladino. Ecco il cavalleresco comportamento del sultano al re:

“Nobile re d'Inghilterra, ora ci separiamo per non incontrarci mai più […] A me è perfettamente noto, come a te, che la vostra elga [crociata] è sciolta definitivamente, e che le sole forze del tuo reame non sono sufficienti per permetterti di continuare l'impresa. Non mi è lecito cedervi Gerusalemme, da voi tanto desiderata. Essa è Città Santa tanto per voi quanto per noi. Ma qualunque altra cosa Riccardo verrà a chiedere al Saladino, gli sarà concessa con la stessa gioia con cui la fonte lascia sgorgare le sue acque. E ciò Saladino farebbe volentieri, anche se Riccardo si trovasse nel deserto, con la sola scorta di due arcieri!”.

THOMAS S. ELIOT
i veri poeti vedono più in fondo degli storici. L'angloamericano Thomas S. Eliot (1888-1925) ha saputo cogliere profondamente il nucleo dell'esperienza religiosa, della tragedia umana, del peso morale delle crociate:

“Chi è questi che viene da Edom? / Egli da solo a pigiato l'uva nel torchio / Vi giunse uno che parlò della vergogna di Gerusalemme / e dei luoghi sacri profanati. / Pietro l'Eremita che flagellava con le parole, / e fra chi lo ascoltò alcuni erano buoni, / molti erano malvagi / e molti non erano niente. / Come tutti gli uomini di qualsiasi luogo. /
Alcuni partirono per amore di gloria, / altri perché infaticabili e curiosi, / alcuni rapaci e lussuriosi... /
E a dispetto di tutto il disonore / degli stendardi spezzati, delle vite spezzate / della fede spezzata in un luogo o in un altro, / c'era qualcosa che essi lasciarono, / ed era più che i racconti / di vecchi nelle sere d'inverno. /
solo la fede poté aver fatto quanto in ciò vi era di bene: / l'integra fede di pochi, / la fede parziale di molti. / Non avarizia, lascivia, tradimento, / invidia accidia gola gelosia superbia: / non queste cose fecero le crociate, / ma furono queste che le disfecero.
[…] La nostra è un'età di virtù moderata / e di vizio moderato, / in cui gli uomini non deporranno la croce / perché mai l'hanno presa".
 
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